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venerdì 29 febbraio 2008
lunedì 25 febbraio 2008
Senza titolo 174
•vedi, io non so se sia possibile uscirne puliti. so però che di vita ci si sporca, o non si vive•
E capita che a volte le parole non abbiano bisogno di pensieri, come se fossero lì pronte a cogliere l'attimo per riversarsi fuori.
E stillano il succo condensato e le sento sbattermi dentro senza alcuna reazione uguale o contraria,
godendo di quel movimento scomposto e incontrollato e senza respiro.
E stillano il succo condensato e le sento sbattermi dentro senza alcuna reazione uguale o contraria,
godendo di quel movimento scomposto e incontrollato e senza respiro.
Parole.
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venerdì 22 febbraio 2008
Senza titolo 173
sono state tante, forse più di quante tu stesso immagini
piccole reticenze, timori, segreti conservati per un giorno che forse non sarà mai
ho mille cose che mi parlano di te in queste stanze in cui impalpabile sei presente
impronte sui muri, rumore di sedie sistemate ad arte, mani che cercano e trovano
frammenti di parole soffiate all'orecchio
persone che osservano
sorrisi semplici che anticipano il rossore sul viso
ho frainteso il significato, forse
forse lo hai frainteso tu
nessun rancore, nessun rimorso, nessun rimpianto
mercoledì 20 febbraio 2008
Senza titolo 172
...sai,
quando rimani così a pensare a quel che avrebbe potuto essere e invece chissà come non è,
o meglio è diverso,
solo diverso,
molto diverso,
e non sai cosa sia meglio,
e ti domandi:
ma io, cosa voglio?
{ti osservo mentre scivoli
come un ragnetto
che tenta di arrampicarsi
sulla parete della vasca}
come un ragnetto
che tenta di arrampicarsi
sulla parete della vasca}
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lunedì 18 febbraio 2008
Senza titolo 171
E capita che le distanze non si esprimano più in numeri ma in sensazioni.
In quel momento - in quel preciso stato di sogno - l'alterazione percettiva permette di sentir vicino chi fisicamente non lo è, distante chi con un soffio si potrebbe raggiungere.
Si allungano tentacoli fuori dalla portata razionale, vibrisse che si tendono all'infinito, mani calde che hanno il potere - come una carezza - di far scendere lacrime non volute ma necessarie.
E io mi sciolgo in cristalli di ghiaccio che formano una pozza ai miei piedi. Calor bianco che lascia posto a flussi che si confondono, fra quel che do e quel che mi si da.
Senza misura allargo il mio abbraccio e lascio che comprenda le poche, pochissime persone a cui tengo e dalle quali a volte mi tengo a distanza. E nello stesso modo lascio che mi si abbracci, mi si stringa forte e mi si conforti. Accetto, chiudendo le ceneri dell'orgoglio sciocco in una teca.
Tepore.
*lo so che vuoi proteggerti*
*ti voglio bene e mi manchi, e questo non mi piace*
*ma c'è qualcuno che ti sta vicino?*
*sai che sono sola*
{silenzio}
*lo so amichetta, lo so. Purtroppo*
*brava la piccolina, adesso sei quasi una signorinella*
*un bacio*
*buon lavoro cocca*
{mi manchi, mutter}
E così, scomposta e un po' sfranta, lascio che questa giornata mi si posi addosso come una copertina di velluto leggero. E malinconica ti sorrido.
Ti voglio bene.
In quel momento - in quel preciso stato di sogno - l'alterazione percettiva permette di sentir vicino chi fisicamente non lo è, distante chi con un soffio si potrebbe raggiungere.
Si allungano tentacoli fuori dalla portata razionale, vibrisse che si tendono all'infinito, mani calde che hanno il potere - come una carezza - di far scendere lacrime non volute ma necessarie.
E io mi sciolgo in cristalli di ghiaccio che formano una pozza ai miei piedi. Calor bianco che lascia posto a flussi che si confondono, fra quel che do e quel che mi si da.
Senza misura allargo il mio abbraccio e lascio che comprenda le poche, pochissime persone a cui tengo e dalle quali a volte mi tengo a distanza. E nello stesso modo lascio che mi si abbracci, mi si stringa forte e mi si conforti. Accetto, chiudendo le ceneri dell'orgoglio sciocco in una teca.
Tepore.
*lo so che vuoi proteggerti*
*ti voglio bene e mi manchi, e questo non mi piace*
*ma c'è qualcuno che ti sta vicino?*
*sai che sono sola*
{silenzio}
*lo so amichetta, lo so. Purtroppo*
*brava la piccolina, adesso sei quasi una signorinella*
*un bacio*
*buon lavoro cocca*
{mi manchi, mutter}
E così, scomposta e un po' sfranta, lascio che questa giornata mi si posi addosso come una copertina di velluto leggero. E malinconica ti sorrido.
Ti voglio bene.
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sabato 16 febbraio 2008
Senza titolo 170
Anche questo è amore.
Detesto rientrare a casa facendo questa strada.
Preferirei passare sul lungo fiume, in silenzio sentire solo il rumore dei miei tacchi sulla terra, sull'asfalto, sull'erba. Ma. Ma questo non è possibile o meglio lo sarebbe se avessi voglia di correre dei rischi non teorici: l'ultima volta che l'ho fatto – ed era estate – un gruppo di esseri non meglio identificati mi avevano detto che mi avrebbero stesa per terra come le strisce pedonali.
Non è stata una bella immagine, anche se mi è scappato da ridere.
E quindi mi ritrovo a passare da qui, in mezzo a questi palazzi color sabbia con decorazioni verdi, piastrelle simil-mosaico pretenziosette, disegni di segni zodiacali che mi chiedo cosa volessero rappresentare, negli anni cinquanta: affidarsi agli astri dopo il bombardamento? Insanità mentale postbellica? Case Fiat. Le case del respiro operaio, del miracolo italiano, del benessere. Il benessere postbellico e preconcettuale.
Passi, comunque, anche tutto questo: voglio arrivare a casa.
Le luci accese. Ho dimenticato le luci accese? Intendo nutrire con le mie già scarse finanze le fauci dell'azienda metropolitana de La Luce? Oh no.
No.
Tu sei lì, a casa mia; e mentre allungo il passo per raggiungere il portone e fiondarmi su lo immagino seduto sul divano, forse musica forse televisione a usare le mie cose come fossero le sue senza sentire mai il bisogno di chiedermi il permesso.
E questo lo detesto.
Apro la porta e rimango in silenzio, in questa penombra d'ingresso che pare irreale. Non fa rumore neanche l'aria smossa dalla porta aperta.
Percepisco un attimo di solitudine immensa pensando all'irritazione che mi avrebbe dato trovarlo a casa e la delusione per non averlo trovato. Gesti meccanici mi portano fino alla camera da letto. Sfilo il cappotto buttandolo sul letto e sollevo la tapparella per fare entrare un filo di luce che i lampioni riescono a fare arrivare qua su.
Guardo la strada che adesso pare silenziosa, percorsa da piccole formiche a quattro ruote o a due zampe, innocue formiche multicolor che per oggi ho cancellato dalla mia esistenza.
Due mani posate sui miei fianchi. Due mani non mie raccolgono un brivido intenso saturo di terrore. Non riesco a realizzare la qualità di questa paura, non faccio in tempo. Voglio girare la testa e guardarmi indietro, provo a costringere le corde vocali a vibrare in un urlo ma il fiato è spezzato.
Mi sbatte sul letto e lo vedo. No, lo intuisco.
Sei uno stronzo! - e istintivamente cerco di mettermi seduta cercando di riprendermi l'anima che per un attimo ho sentito sfuggirmi di mano mentre un fiume di parole in piena mi allaga la bocca pronta a inondare la stanza di rabbia e veleno.
Mi posa con forza la mano sulla bocca, sento sulla lingua il vago sapore metallico del sangue e ancora cerco di sollevarmi prima che il suo peso mi si cali addosso. Stringo le gambe e poggio gli stivali contro lo specchio dell'armadio, irrigidendomi sperando di respingerlo. Lo conosco tanto bene da non poter realizzare in lui questa azione.
Ora stai zitta, non voglio sentirti dire niente. Per una volta fai silenzio perché non ho intenzione di ascoltare una sola parola – la voce spezzata fra una parola e l'altra come a darmi il tempo di realizzare esattamente cosa stia succedendo – Dimmi che hai capito, dimmi di sì e non dire altro -
Lo fisso negli occhi cercando di interpretare il suo tono, voglio cercare un'inflessione scherzosa in quelle parole ruvide e inattese ma mi distraggo a seguire i movimenti della sua mano sul mio corpo, la gonna che si solleva accartocciandosi sui miei fianchi e i bottoni della camicia che scoppiano mentre arcuo la schiena tentando di levarmelo da dosso. Accenno un sì con la testa e un perché con gli occhi a cui lui non da alcuna risposta mentre ancora con la mano libera forza le mie gambe per allargarle. Faccio resistenza e per un momento pare desistere, “forse ho vinto, coglione” penso mentre sento il suo movimento pieno sulla mia pancia, inequivocabilmente eccitato. Con forza mi tira giù le mutandine fottendosene del mio sguardo incredulo. Mi si struscia addosso facendo maggiore frizione, il suo peso mi fa abbassare le gambe; le mie mani, fino a quel momento incredibilmente inattive, lo spingono verso l'alto ma è un movimento inutile. Si sbottona i jeans trascinandoli sulla pelle delle mie gambe e incunea le sue fra le mie costringendomi a divaricarle. E' un attimo. E' angoscia.
Lasciami fare, lasciami fare che è meglio – rauco, arrabbiato – e evita di urlare adesso. Non voglio sentirti, non costringermi a farti male.
A farmi male, penso. Non può farmi male una persona con la quale ho fatto l'amore una quantità di volte innumerevole. Ma sudo e ho le mani fredde, le sento.
Non tenta neanche di baciarmi, non mi accarezza, non c'è tenerezza. In un attimo mi è dentro. Mi scopa. Contratto, veloce e violento. Sento i suoi denti attraversare la stoffa della camicia sulla mia spalla, le sue dita stringermi le labbra, il suo movimento sincopato, ritmico, lungo, pieno. E gode in un ringhio sentito mille volte mentre spinge ancora con impeto, mentre sibila “troia” sul mio collo, mentre rimango ad occhi sbarrati a sentire i suoi fiotti.
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giovedì 14 febbraio 2008
Senza titolo 169
Sapore tenero di cosa buona.
Che oggi a mettere qualcosa di rosso si rischia.
Oggi il mondo sarà tutto rosso: fiocchi rossi, biglietti rossi, mutande rosse, rose rosse - accompagnate di tanto in tanto da una blu, che fa figo - e parole rosa, oddioquantotiamo. Oggi.
Ci si porta a cena, ci si lecca i capelli e si indossa il vestitino della festa e le mutande buone - che oggi non si sa mai, se fa il buono gliela do! - che oggi non si sa mai, se è bona gliela prendo - e son sorrisi e baci e carezze e perdoni. E non ne parliamo.
Oh che tremenda sfortuna essere zitella, oggi! Ah qual male posso aver fatto in vita per meritarmi cotanta solitudine affettiva!
Ma vuoi mettere le fragole?
Basta accendere un mutuo e oggi puoi portare a casa fragole, ciliege, frutti rossi a volontà.
Da riempirtene la bocca e gli occhi.
Affondi gli incisivi e lasci colare sulle labbra quel sangue di frutta fresca.
Lecchi ogni stilla posata sulle labbra.
Ne assapori il nettare, il vellutato gusto che dal dolce passa all'aspro.
Te le godi. Tutte.
Con quel che costano. Non disperdere il seme.
Che oggi a mettere qualcosa di rosso si rischia.
Oggi il mondo sarà tutto rosso: fiocchi rossi, biglietti rossi, mutande rosse, rose rosse - accompagnate di tanto in tanto da una blu, che fa figo - e parole rosa, oddioquantotiamo. Oggi.
Ci si porta a cena, ci si lecca i capelli e si indossa il vestitino della festa e le mutande buone - che oggi non si sa mai, se fa il buono gliela do! - che oggi non si sa mai, se è bona gliela prendo - e son sorrisi e baci e carezze e perdoni. E non ne parliamo.
Oh che tremenda sfortuna essere zitella, oggi! Ah qual male posso aver fatto in vita per meritarmi cotanta solitudine affettiva!
Ma vuoi mettere le fragole?
Basta accendere un mutuo e oggi puoi portare a casa fragole, ciliege, frutti rossi a volontà.
Da riempirtene la bocca e gli occhi.
Affondi gli incisivi e lasci colare sulle labbra quel sangue di frutta fresca.
Lecchi ogni stilla posata sulle labbra.
Ne assapori il nettare, il vellutato gusto che dal dolce passa all'aspro.
Te le godi. Tutte.
Con quel che costano. Non disperdere il seme.
lunedì 11 febbraio 2008
domenica 10 febbraio 2008
Senza titolo 167
a fior di pelle
Mi piace il silenzio di questa notte.
Uno scroscio d'acqua calda a tirar via stanchezza e pensieri, i denti freschi dopo una cena a base di sushi e sashimi, chiacchiere scambiate e sguardi indagatori.
Fuori, oggi, l'unico rumore è quello dei lampioni.
Il tempo è sospeso, la città si è eclissata. Dormono tutti, forse.
Sott'acqua pensavo a quante cose mi sono passate addosso. Son piena di graffi, ma non ho una stilla di sangue. Senza respiro, mentre la doccia mi inondava, lasciavo scorrere immagini cercando un modo per confondere le lacrime. Ma no. Nessuna.
E allora forse è vero che non ne ho. Si sono asciugate, evaporate, sublimate.
Anche oggi ho sentito dire *sei sorridente, è bello così*.
E' che mi sento fuori dal tempo. Ho la percezione di quel che mi passa intorno ma lascio che scorra sottotono. Ho sogni e bisogni che mi sembrano d'altri.
Mi sento come se non avessi necessità di niente.
Che forse è vero che meno si mangia e meno si ha fame.
E io ho i sensi sfamati.
Sazi come se li avessi nutriti di latte e pane caldo.
Ma.
No.
Uno scroscio d'acqua calda a tirar via stanchezza e pensieri, i denti freschi dopo una cena a base di sushi e sashimi, chiacchiere scambiate e sguardi indagatori.
Fuori, oggi, l'unico rumore è quello dei lampioni.
Il tempo è sospeso, la città si è eclissata. Dormono tutti, forse.
Sott'acqua pensavo a quante cose mi sono passate addosso. Son piena di graffi, ma non ho una stilla di sangue. Senza respiro, mentre la doccia mi inondava, lasciavo scorrere immagini cercando un modo per confondere le lacrime. Ma no. Nessuna.
E allora forse è vero che non ne ho. Si sono asciugate, evaporate, sublimate.
Anche oggi ho sentito dire *sei sorridente, è bello così*.
E' che mi sento fuori dal tempo. Ho la percezione di quel che mi passa intorno ma lascio che scorra sottotono. Ho sogni e bisogni che mi sembrano d'altri.
Mi sento come se non avessi necessità di niente.
Che forse è vero che meno si mangia e meno si ha fame.
E io ho i sensi sfamati.
Sazi come se li avessi nutriti di latte e pane caldo.
Ma.
No.
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giovedì 7 febbraio 2008
Senza titolo 166
Insostituibile.
E sì che ci ho tentato: non ho fumato per una ventina di giorni, fino al 23. Poi basta.
Cambia il mio mondo, riprendo le buone abitudini.
Pensavo ai nomi - sì ho tempo da perdere, ho intere giornate da perdere e devo far di tutto per non perdermi in pensieri *altri*, pensieri di lei, di me e lei, di noi e lei - e alla ricorrenza di questi in persone che conosco.
Due persone importanti per me si chiamano A
Sono apparentemente diverse fra loro: uno riservato e molto, molto milanese, l'altro stupendamente ingombrante, con una personalità travolgente e per niente, per niente milanese.
Mi sento piena quando riesco a prenderne pezzetti: parole, sorrisi, suoni, voci di bimbe, soddisfazioni o dispiaceri condivisi.
Ma quanto mi piace quando sto con loro!
E quante cose imparo, sempre.
Vi voglio un bene infinito. Sempre.
U
Una delle persone più importanti da sempre. Mi ha fatto crescere mio padre, mi ha coccolata e sgridata e accarezzata e spronata e difesa. Ci sono cose che non ho fatto grazie a lui o per colpa sua.
Non ho mai fatto un lavoro stagionale perché diceva che il mio lavoro era studiare.
Non sono mai andata in giro senza soldi perché ripagava il mio lavoro ad ogni voto buono.
Ho fatto delle cose che lui non avrebbe voluto, dopo che mi ha abbandonata. (lo so, non è stata colpa tua)
Così presto, troppo presto.
E poi, oggi...
M detto anche Bambino Prodigio non lo vedevo da anni. L'ho incontrato in questi giorni, la morte pare che raduni anche familiari dispersi. E' uguale! Mi ricordo che il giorno del suo battesimo io giocavo al gioco della bottiglia e mi fidanzavo con un ragazzino coetaneo. Avevamo sei anni.
E l'altro M invece non è uguale. Un giorno mi sono girata dalla sua parte del letto e l'ho visto cambiato. Negli anni, un'altra persona.
Parlo di voi. Penso a voi.
E non solo.
Ma soprattutto.
E sì che ci ho tentato: non ho fumato per una ventina di giorni, fino al 23. Poi basta.
Cambia il mio mondo, riprendo le buone abitudini.
Pensavo ai nomi - sì ho tempo da perdere, ho intere giornate da perdere e devo far di tutto per non perdermi in pensieri *altri*, pensieri di lei, di me e lei, di noi e lei - e alla ricorrenza di questi in persone che conosco.
Due persone importanti per me si chiamano A
Sono apparentemente diverse fra loro: uno riservato e molto, molto milanese, l'altro stupendamente ingombrante, con una personalità travolgente e per niente, per niente milanese.
Mi sento piena quando riesco a prenderne pezzetti: parole, sorrisi, suoni, voci di bimbe, soddisfazioni o dispiaceri condivisi.
Ma quanto mi piace quando sto con loro!
E quante cose imparo, sempre.
Vi voglio un bene infinito. Sempre.
U
Una delle persone più importanti da sempre. Mi ha fatto crescere mio padre, mi ha coccolata e sgridata e accarezzata e spronata e difesa. Ci sono cose che non ho fatto grazie a lui o per colpa sua.
Non ho mai fatto un lavoro stagionale perché diceva che il mio lavoro era studiare.
Non sono mai andata in giro senza soldi perché ripagava il mio lavoro ad ogni voto buono.
Ho fatto delle cose che lui non avrebbe voluto, dopo che mi ha abbandonata. (lo so, non è stata colpa tua)
Così presto, troppo presto.
E poi, oggi...
M detto anche Bambino Prodigio non lo vedevo da anni. L'ho incontrato in questi giorni, la morte pare che raduni anche familiari dispersi. E' uguale! Mi ricordo che il giorno del suo battesimo io giocavo al gioco della bottiglia e mi fidanzavo con un ragazzino coetaneo. Avevamo sei anni.
E l'altro M invece non è uguale. Un giorno mi sono girata dalla sua parte del letto e l'ho visto cambiato. Negli anni, un'altra persona.
Parlo di voi. Penso a voi.
E non solo.
Ma soprattutto.
martedì 5 febbraio 2008
sabato 2 febbraio 2008
Senza titolo 164
¤il guscio rotto¤
in caso di male
hai chiesto cremazione
perché il male
smettesse di mangiare
noi siamo quelli
che hanno sibilato sì o no
a brochure di bare
non c'era bisogno
di fare pace fra noi
quando la cerea spianata frontale
confermava che le guerre
erano tutte inventate
ancora una volta
hai avuto troppo coraggio
ancora una volta
hai deciso tu
chiedendoci regali
per le infermiere
dei tuoi ultimi orgogli
per poi avviarti
i medici con le mani aperte
i mesi scivolati a terra
il guscio rotto
ancora una volta
hai avuto l'ultima parola
cercando di non sporcare
non suonando mai
il campanello del reparto
confessando alla suora
e bestemmiando fino in fondo
che non ti andava di morire
e poi zittirci che avevi sonno
proprio nel giorno della madonna
in caso di male
hai chiesto cremazione
perché il male
smettesse di mangiare
noi siamo quelli
che hanno sibilato sì o no
a brochure di bare
non c'era bisogno
di fare pace fra noi
quando la cerea spianata frontale
confermava che le guerre
erano tutte inventate
ancora una volta
hai avuto troppo coraggio
ancora una volta
hai deciso tu
chiedendoci regali
per le infermiere
dei tuoi ultimi orgogli
per poi avviarti
i medici con le mani aperte
i mesi scivolati a terra
il guscio rotto
ancora una volta
hai avuto l'ultima parola
cercando di non sporcare
non suonando mai
il campanello del reparto
confessando alla suora
e bestemmiando fino in fondo
che non ti andava di morire
e poi zittirci che avevi sonno
proprio nel giorno della madonna
{Luciano Ligabue . Lettere d'amore nel frigo}
E' strano pensarti.
Questo pomeriggio - quando iniziavo a prendere sonno dopo non so quanto - ti ho vista sorridente.
Non eravamo da nessuna parte, vedevo solo il tuo viso e il mio e giravano intorno, in alto, come se vi vedessi da sdraiata.
Come se tu ed io fossimo davvero sopra me stessa distesa sul divano, a ridere.
Tenere.
E' strano sentire la tua voce.
Tu sapevi che avremmo sentito i tuoi messaggi *dopo*.
Tre telefoni. Mille parole. Registrate nella notte forse, fra un tormento e l'altro approfittando di quei rari momenti in cui avevi respiro. E quel fiato ce lo hai dedicato.
Sappiate che vi ho amato molto.
E' strano vedere le tue foto.
Sapendo che vedrò solo quelle, che non potrò più vedere quel che di te si consumava ora dopo ora. E' strano anche pensare che forse è stato meglio così.
Anzi, sicuro. Per te, almeno. Per me, meno.
Ma io ti capisco. Il tuo dire no, alla fine. Il tuo sibilare *ora chiama*. La tua decisione. La tua paura.
E quel sorriso tirato, alla fine.
Senza più fiato.
E' strano pensarti.
Questo pomeriggio - quando iniziavo a prendere sonno dopo non so quanto - ti ho vista sorridente.
Non eravamo da nessuna parte, vedevo solo il tuo viso e il mio e giravano intorno, in alto, come se vi vedessi da sdraiata.
Come se tu ed io fossimo davvero sopra me stessa distesa sul divano, a ridere.
Tenere.
E' strano sentire la tua voce.
Tu sapevi che avremmo sentito i tuoi messaggi *dopo*.
Tre telefoni. Mille parole. Registrate nella notte forse, fra un tormento e l'altro approfittando di quei rari momenti in cui avevi respiro. E quel fiato ce lo hai dedicato.
Sappiate che vi ho amato molto.
E' strano vedere le tue foto.
Sapendo che vedrò solo quelle, che non potrò più vedere quel che di te si consumava ora dopo ora. E' strano anche pensare che forse è stato meglio così.
Anzi, sicuro. Per te, almeno. Per me, meno.
Ma io ti capisco. Il tuo dire no, alla fine. Il tuo sibilare *ora chiama*. La tua decisione. La tua paura.
E quel sorriso tirato, alla fine.
Senza più fiato.
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venerdì 1 febbraio 2008
Senza titolo 163
{light inside her mum}
Creare una diga fra quel che c'è dentro e il mondo, fuori.
Bloccare la forza dell'acqua, i mulinelli e le correnti. Innalzare un argine che contenga, con forza, l'impeto.
E d'un tratto, arrivata allo sbarramento, l'acqua pare quieta. Silenziosa. Immobile.
E invece.
Crea un vortice invisibile agli occhi, ingloba energia e più appare ferma e più si rafforza.
Minaccia la diga. La spinge, la erode, la bagna, la morde, la forza.
E tu guardi la diga e pensi a quanto sia forte. Cemento armato, cavi d'acciaio, tiranti. Ingegneria pura.
E mentre la guardi non ti chiedi come possa fare. Sai che lo fa e ti basta.
L'argine pare accarezzare l'acqua come una madre affettuosa, presente ma non invadente.
Si lascia stracciare piccoli pezzi di struttura ma non permette di arrivare al ferro. Al nucleo. Alla sua vera forza.
E d'un tratto solleva le chiuse e si libera di una parte di massa lasciando che si disperda e si trasformi.
Quando meno te lo aspetti.
Bloccare la forza dell'acqua, i mulinelli e le correnti. Innalzare un argine che contenga, con forza, l'impeto.
E d'un tratto, arrivata allo sbarramento, l'acqua pare quieta. Silenziosa. Immobile.
E invece.
Crea un vortice invisibile agli occhi, ingloba energia e più appare ferma e più si rafforza.
Minaccia la diga. La spinge, la erode, la bagna, la morde, la forza.
E tu guardi la diga e pensi a quanto sia forte. Cemento armato, cavi d'acciaio, tiranti. Ingegneria pura.
E mentre la guardi non ti chiedi come possa fare. Sai che lo fa e ti basta.
L'argine pare accarezzare l'acqua come una madre affettuosa, presente ma non invadente.
Si lascia stracciare piccoli pezzi di struttura ma non permette di arrivare al ferro. Al nucleo. Alla sua vera forza.
E d'un tratto solleva le chiuse e si libera di una parte di massa lasciando che si disperda e si trasformi.
Quando meno te lo aspetti.
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