the bad company
la dimensione del sogno, ecco cosa è stato.
vedere quelle espressioni di attesa nervosa, cauta e forse anche un po' impaurita
sentirne le voci, o i silenzi, o i sospiri
avere tatto senza mani e vista senza occhi
tirare giù le paratie
lasciarsi e prendersi e mischiarsi
questo è stato il clima di quel venerdì iniziato giorni prima, fra bambole cucite a mano -perché un tossico che usa l'ago per cucire e non per farsi è grandioso, davvero- e clown che non avevano bisogno del trucco per strappare un sorriso.
fra famiglie che finalmente ritrovavano figli e mariti e padri come se fosse un giorno normale proprio dove la normalità è fuori norma, un giorno in cui ci si tocca e ci si abbraccia senza timore d'essere fraintesi e si mangia tutti insieme.
e si scambia conoscenza e dolcezza, terrore nascosto in qualche sguardo, speranza, voglia di esserci anche domani -ché domani non è mai certo quando è la spada ciò che si ha sempre in mente- e parole, infinite parole, date a sconosciuti solo perché si è lì e si condivide.
ho parlato con una madre
ho parlato con una moglie
ho parlato di dolore con il sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi
ho ballato con i miei ragazzi, che miei non sono ma anche sì
ho cantato e mi sono stesa con loro sul prato
fianco a fianco
a guardare il cielo nero
illuminato da dentro