giovedì 19 novembre 2009

Senza titolo 373


 



ripensandoci...




come succede almeno una volta all'anno, sto perdendo la voce.
generalmente l'afonìa giunge verso la fine dell'anno ma questa volta mi sono portata avanti e ho anticipato: questo mese ho già dato tutto -credo, eh- e ora la voce poco per volta va via.

l'ultima volta che è successo avrei fatto meglio a non parlare per almeno qualche mese in più; in compenso però avrei dovuto essere anche sorda, tanto per non sentire le cazzate che all'inizio di quest'anno mi hanno intortata.
ma te lo immagini, neanche fosse stato il canto delle sirene!

bon, à l'è andaita.

sembra quasi che io a gennaio mi sposi.

occupo le mie giornate  scegliendo  la lista nozze: il viaggio, le posate e i piatti e le pentole, il robot da cucina (eh? ma per fare che?); il colore dei tavoli e la scelta della sala, le partecipazioni e il tulle delle bomboniere  -per informazione sarà tutto blu, con qualche spruzzata di argento qua e là- perfino la scelta della biancheria intima e delle scarpe, e che le calze siano di filo di seta bianco. parlo di tutto meno che del e con il futuro marito in questione.

ma in effetti è no. anche no. non mi sposo io. no no e no. strano né!


c'è che, a parte la voce, sto meglio. sono anche incline al perdono. a novembre siamo tutti più buoni, forse.
poi questo è il mese del compleanno degli amori: un amore infinito, un amore passato, un amore mai esistito.

la vera Bellezza è che uno solo di questi amori ancora strappa sorrisi. ancora e ancora.

 

martedì 17 novembre 2009

Senza titolo 372


 



38.9
 




e tutti si allarmano.

e io mi annoio.

ché la vera cosa brutta dell'influenza è la noia che salta addosso, che non viene mitigata da libro, pc, tv, telefono.
niente, mi annoio e basta.

ci sono gli eroi che vorrebbero venire a trovarmi, forse per vedere se effettivamente questo virus A cambia qualcosa nella fisionomia umana, forse per dirsi solidali, forse ancora per amicizia, niente di meno che amicizia.
eppure io non ce la faccio.
quella vena odiosa di autosufficienza da conclamare in ogni caso, anche quando effettivamente mi farebbe piacere -e non di meno comodo- godere della disponibilità delle persone a far le cose di tutti i giorni: un po' di spesa, due chiacchiere, il caffè.

c'è che in questi casi io vorrei solo patatine fritte e zigulì. da mia mamma.

ritornare bambina e stare a letto, nel lettone, sì! ché quando si è ammalati, da bambini, ci si sposta nel lettone e si gode di piccole cose come latte caldo col miele, nanna, patatine fritte difficili da mandare giù con la gola in fiamme ma che buone, nanna, camomilla, nanna, zigulì.

da grandi...da grandi, mah...io faccio da sola. con la soddisfazione di dire no e un urlo dentro che chiede perché no, perché.

pare che cani e gatti siano sensibili al virus A. la mia preoccupazione ora è quella di non contagiarla ai miei gattini. il mio fastidio invece è starnutire, soffiare il naso, tossire, misurare la febbre -lo faccio una ventina di volte al giorno, dev'essere una strana fobia- e le medicine, quanto odio le medicine.

c'è di buono che dormo. la febbre dà una dimensione onirica alla giornata che scorre densa, rarefatta. e allora sogno di sposarmi con mio cugino, ricevimento pieno di persone sconosciute a mangiare pane e nutella, mia mamma che mi guarda e ride. e io che rido con lei.

domenica 8 novembre 2009

Senza titolo 371


 



s-comunicazione
 



che poi basta poco, anche solo un po' di polvere.
così poco che se ne fa un caso di coscienza e si impone il veto su un fatto tanto privato quanto doloroso come la morte.

non esiste passaggio in cui l'ingerenza della chiesa di roma non si presenti pressante; è evidente che io sia particolarmente ostile a tutto ciò ma mi domando come si possa accettare che il dolore si svolga attraverso canoni prestabiliti, che si pianga secondo dettato, "cercando di evitare con la debita prudenza ogni scandalo o indifferentismo religioso" -questo recita il rito delle esequie-

quindi si può morire e anche essere bruciati ma rispettando l'etichetta: il colore delle vesti, la tavola imbandita a dovere, scegliere i testi, raccomandare il cadavere al signore. e, soprattutto, non spargere le ceneri.

no. d'altronde il mercato post mortem deve pur conservarsi fiorente.

quindi si conservino le ceneri in apposito contenitore conservato non dove si vuole ma in cimitero, perché sia chiaro che è dovuto il giusto onore al corpo dei defunti.

e se non è bruciato si onori lo stesso il cumulo di vermi che ne rimane, ché in esso è contenuto lo spirito santo.

 





questa immagine è splendida. colma di significati non solo perché appartiene ad uno dei film che ho più amato -e che continuo a guardare pur conoscendolo a memoria: american beauty- ma perché è talmente provocatoria che rimanere indifferenti è improbabile.