giovedì 30 ottobre 2008

Senza titolo 284





on il va



Sì che vado.
Come al solito prima di andar via sono sempre combattuta fra la voglia di andare e quella di rimanere.
Restare fra le mie cose: il mio letto la mia casa i miei gatti la mia città.
Andare altrove: amici, risate, altri luoghi, altri incontri.

Ma sì che vado.
Firenze. A dire il vero mi dà pensieri.
Lì ho lavorato, ho frequentato persone e locali, ho anche avuto un uomo pro tempore -serenamente abbandonato al mio ritorno a casa, dopo cinque mesi allegri-
E poi adesso ho un pensiero legato lì, pungente ma non doloroso, come una nausea latente, un respiro affannato, un'apnea notturna.

Però vado.
Il trolley viola con dentro quel che serve.
Soprattutto con me stessa e la consapevolezza di sapere quello che voglio, almeno per adesso.





Ma tanto ritorno. Oh sì.





lunedì 27 ottobre 2008

Senza titolo 283






sei tu che desideri ardentemente una roba che c'è per metà.
una cosa improvvisa e sorprendente.
ma a metà.

questo vorrà pur dire qualcosa.





Seziono questi giorni in frammenti, sfiancandoli e spossandoli e attendendo che, con un fil di voce, mi chiedano d'essere riposti.

Esamino da prospettive inusuali per evitare di cadere nel tranello del senso di colpa o del rancore.
Sono certa, una volta di più, che non ci sia un senso logico ma neanche cattiveria.
Forse un briciolo di opportunismo -che difficilmente perdono- riesco a scorgerlo, ma ho anche una sportina di giustificazioni da opporre.

Nuoto in un liquido amniotico per niente consolante, senza nutrienti né lenitivi, cercando un sapore qualunque ma che sia un sapore.
Fra lineette di febbre da due soldi passo dallo sgomento al sorriso puro, un po' sfibrata ma con la volontà di non lasciarmi vincere.




sei il tuo baricentro.
non dimenticarlo.


sabato 25 ottobre 2008

Senza titolo 282





sens dessus dessous



E così mi ritrovo.

E così mi perdo.

Ti racconto di Torino. In questi giorni è invasa da persone di tutti i generi.
C'è il Salone del Gusto con tutti i suoi colori e i sapori.
C'è Terra Madre e i contadini.
C'è anche la partita gobbi vs granata, oggi. Che i primi si fottano.
C'è qualche migliaio di poliziotti in giro, e mi sembra anche giusto -forse-
C'è che gli alberghi sono strapieni e guarda caso -oltraggio- qualche milanese non ha trovato posto.
C'è che per strada fanno caldarroste e farinata.
C'è che Turin a l'è sèmper Turin.

Da Eataly c'era il mondo, ieri. Ripensando alle carezze ho preso i plin classici, da condire con burro e Castelmagno.
Ho preso anche una robiola e il pane con la farina gialla, come quello dell'altra volta.
Guardo il frigo, inaspettatamente pieno di altro che non sia roba verde o rossa.
E poi mi guardo intorno. E. No.

Oggi cercavo le montagne verso le valli e, sollevando il naso verso il cielo, ho visto un dirigibile blu.
L'ho seguito a bocca aperta mentre mi volteggiava sopra.
Ho pensato che avrei avuto paura. E poi ho pensato alle mie paure, quelle vere.
A tutte quelle che mi si sono affastellate dentro negli ultimi giorni e che ieri ho visto materializzarsi una via l'altra.
Avrei preferito stare sul dirigibile blu.

Oggi pomeriggio mi sono addormentata.
Ho sognato di essere in una casa strana.
Girando fra le stanze, sono entrata in una dove c'era una signora.
Ho chiuso a chiave la porta e ho fatto la pipì in un vasino mentre lei mi trattava come una bimba.
Poi ho sentito urlare il mio nome. Spaesata mi sono girata intorno e la signora sorrideva.
Urlavi, tu, chiamandomi, cercandomi in tutte le stanze.
La signora mi ha detto °ora vai°  e mi sono svegliata sentendoti urlare ancora distintamente il mio nome.
Con il fiato spezzato, io.
E tremante.


Oh, dimenticavo: ricordi RadioServa?
Stamattina l'ho incontrata e mi ha chiesto se lunedì fossi stata male, visto che ero in casa. Tendenziosa, né?
Le ho risposto che no, stavo benissimo.


Stanotte alle tre saranno le due.  Così, tanto per ricordartelo.










 

mercoledì 22 ottobre 2008

Senza titolo 281





~il y a un fil rouge~



C'è che ho voglia di dare fiducia.

Forse anche di andare contro un'evidenza spazzata via da parole pronunciate con irruenza, tante tante parole che in una notte mi hanno circondata e circuita e stanno lì, a dondolare nell'aria della mia casa.

Si siedono scomposte sul divano, si infilano sotto il piumone, svolazzano nell'ingresso e mi seguono sussurrando °credici°.

Poi c'è la voce fuori campo che parla di ipotetici stati di necessità.
Taci.

E così ancora lascio fare al mio essere naturalmente limpida e vedo anche in te la stessa limpidezza.

C'è che ci voglio credere.

Forse perché non sono capace di fare il contrario, forse perché è dalle prime parole scambiate che ho sentito arrampicarsi dallo stomaco una sensazione di fiducia e affidamento, forse mi sbaglio ma forse anche no, e quindi?

E quindi {è una questione di qualità la tua presenza, rassicurante e ipnotica mi affascina, e gioca col mio senno e lascia ben poche briciole}






 

lunedì 20 ottobre 2008

Senza titolo 280




...e io non so cosa dire né cosa pensare ma so che mi esplodi dentro...


domenica 19 ottobre 2008

Senza titolo 279





⇔come infatti attraverso uno specchio ci si può osservare con cura punto per punto, lo stesso modo il medico deve conoscere l'uomo con precisione, ricavando la propria scienza dallo specchio dei quattro elementi e rappresentandosi il microcosmo nella sua interezza [...] l'uomo è dunque un'immagine in uno specchio, un riflesso dei quattro elementi e la scomparsa dei quattro elementi comporta la scomparsa dell'uomo. Ora, il riflesso di ciò che è esterno si fissa nello specchio e permette l'esistenza dell'immagine interiore: la filosofia quindi non è che scienza e sapere totale circa le cose che conferiscono allo specchio la sua luce. Come in uno specchio nessuno può conoscere la propria natura e penetrare ciò che egli è (poiché egli è nello specchio nient'altro che una morta immagine), così l'uomo non è nulla in sé stesso e non contiene in sé nient'altro che ciò che gli deriva dalla conoscenza esteriore e di cui egli è l'immagine nello specchio.⇔


Così diceva Paracelso. Cazzo, era svizzero!


Oggi mi piace pensare a queste parole. Dev'essere che sono le tre di notte e non accenno ad aver sonno.

Gli specchi, le immagini riflesse, il segreto di quel che c'è dentro e oltre quel che si vede. Mi piace.

E mi piace pensare alla magia. Sprecata a volte, trattenuta altre. Rilasciata sempre.

Parlavo di questo poche ore fa con una persona nuova. Nuova per me.

Strana e improvvisa l'empatia.

Si parlava di stati d'animo e di rabbia e di magia; anzi, si accennava a tutto questo. Vorrei ci fosse il tempo per riparlarne, o parlare  d'altro. Febbre permettendo.


E ripenso alla chimica, ai quattro elementi, ai sali. E alla bellezza.



(e chissà se poi tutti questi pensieri mi faranno sognare di cadere ancora e ancora)









 

giovedì 16 ottobre 2008

Senza titolo 278






Sai cosa?

Non sto meglio, non sto bene. Sto.

Continuano a disturbarmi certi comportamenti violenti pur senza violenza fisica.

Io non sono all'angolo, sebbene possa sembrare. Sono presente a me stessa e pronta a prendermi le mie eventuali responsabilità. Tu devi farmele conoscere, però. Perché non posso sentirmi in colpa per qualcosa che non so. Proprio mi rifiuto. Devo cambiare, io. Smettere di pensare di aver fatto qualcosa che abbia potuto urtare la tua suscettibilità. Smetterla, davvero.

E basta.


Ieri guardavo in tv un programma in cui si parlava della mia città.
Dei triangoli neri e di quelli bianchi, della sua bellezza, della magia e di inizi e fini.

Dico che io assomiglio alla mia città.
Dico che se domani deciderò di andarmene da qui il mio cuore non si muoverà anche se fisicamente lo porterò altrove.
Perché la sua cupezza è il contraltare della luce che ha dentro. Non ce l'hai in mano: devi conquistarla. E' cortese ma non accondiscendente. Ti mette spalle al muro se tenti di forzarla.
E poi, mai per caso anche se all'improvviso, ti offre tutto. Tutto quello che ha.

E non te la dimentichi, mai.


mercoledì 15 ottobre 2008

Senza titolo 277





e in un attimo io odio



Quel giorno che si è permesso di darmi uno schiaffo l'ho guardato e mi si è allargato un sorriso: è l'ultima volta che ti capiterà di toccarmi. Lui ha cambiato espressione, la rabbia in un attimo gli ha trasfigurato i lineamenti diventando terrore. Sapeva che non erano parole a salve.

Quella fu l'ultima volta che lo vidi; i primi tempi i suoi amici mi chiamavano a casa per dirmi quanto lui stesse male, sai somatizza, ha le allergie, dimagrisce a vista d'occhio, non riesce a lavorare. E io, dall'altra parte del filo, in silenzio fino a che anche le loro parole svanivano nel niente. Dopo qualche mese lui iniziò a chiamare mia mamma per dirle quanto mi amava, e quanto gli mancavo, e quanto era pentito, e non è mai successo e non succederà mai più. Mia mamma rispondeva con le mie stesse parole: è stata quella la tua ultima opportunità di toccarla.

E poi, per dirla tutta, mi offrì l'occasione per lasciarlo senza sensi di colpa. Vaffanculo così, senza neanche fiatare.


E oggi rientro a casa dopo una giornata tutto sommato lieve; a prescindere dall'incontro mattutino con la cimice che faceva la doccia con me -morire al mattino sotto la doccia- ho scambiato parole e sorrisi in pausa pranzo fra un pezzo di sedano e una scaglia di parmigiano.

Rientro, parcheggio, mi passa sopra la testa un telefono cellulare e una coppia cammina a passo sostenuto. Lei si inchina, io mi volto e chiudo la macchina. Attraverso e ho quei due di nuovo davanti, a una decina di metri. Cerco le chiavi di casa e con la coda dell'occhio vedo i capelli di lei che si allargano sulla testa, come Medusa. Non realizzo. Osservo, mentre loro camminano e io vado verso casa.

Un urlo soffocato, lui: chi è? E parte la mano a raggiungere la nuca di lei, che cade per terra.

Mi blocco. Immobile. Attonita. Lei muta. Si volta verso le macchine parcheggiate, lui le dà ancora un colpo e le fa sbattere il viso sull'auto. E lei ancora muta. E io anche. Lui è un armadio vestito con camicia bianca sopra i jeans, lei la conosco, lavora qui intorno.

Mi volto, affretto il passo e vado al comando della Polizia Municipale. Dico quel che succede. Mi volto e lui ancora la sta picchiando. Escono i poliziotti (sei dico sei, di cui tre donne) e mi seguono verso la coppia. Lui, indifferente, si allontana. I poliziotti fanno capannello intorno a lei: occhi neri, il viso tumefatto, piange.

Ci scambiamo uno sguardo, lei ed io. Io la compatisco. Vorrei accarezzarla, anche. Ma la compatisco.
Vado a casa.

Storie di ordinaria follia.
E chissà come mi guarderà, lei, quando sabato andrò nel laboratorio a fare le analisi.
Chissà se sarà in grado di guardarmi.
Io sosterrò te e il tuo sguardo, se vorrai.





domenica 12 ottobre 2008

Senza titolo 276




¤in blue¤



Mal di testa, un po'.

E' che andare a letto alle quattro e mezza e risvegliarsi alle sei non è sano. Un gatto che mi cammina sulla schiena e l'altro a leccarmi gli occhi. Sì che fanno tenerezza, anche dopo un'ora e mezza di sonno. Ma viene il mal di testa.

Lì fuori è ancora buio di quel buio che si mangia la luce che arriva lenta. Non ci sono stelle. Lì fuori non c'è niente, non ci sono neanche più le montagne questa mattina. Chiudo gli occhi e me ne invento il profilo, quello che vedo da sempre.

Come fossi bambina affacciata alla finestra che dà sulla piazzetta di Chiomonte, a sentire l'acqua che scende dalla montagna di fronte; scosto con la mano il panetto di burro che mia nonna usa tenere lì, la notte. Poggio i gomiti sul marmo ghiacciato e aspetto che faccia luce, oggi si va al mercato di Susa, la nonna mi compra gli stivali di gomma. Che belli i miei stivali di gomma. Con quelli posso entrare nella casetta delle capre, posso andare a funghi col nonno, posso immergerli nel fontanile dopo aver sfondato il sottile strato di ghiaccio. Come sono bella con i miei stivali di gomma e la calzamaglia di lana. Posso andare anche davanti alla casa di Gualdina a lanciare i sassolini contro il portone: lei viene fuori urlando e io scappo. Tanto ho gli stivali di gomma, io.




E intanto la luce si fa avanti. E le montagne non le vedo ancora. E c'è questa aria fresca che mi intirizzisce e sì, è l'ora del caffè. 

giovedì 9 ottobre 2008

Senza titolo 275





it doesn't matter





More or less.

In realtà sto cacciando a calci nel culo una quantità indicibile di domande alle quali con molta probabilità non avrò risposta -domande che forse non porrò mai- e questo mi costa fatica. Inutile. Sprecata. No?

Ché la fatica è nobile quando non sterile. Così, a cosa serve?

Intanto indosso una giacca a caso prendendola dal mio armadio delle gonne. Dissonante. Allarmante. Non è un caso. E' caos.
E' quel piacevole e spossante incrocio di due vite che si attraggono per poi negarsi.

E' un messaggio subliminale: io c'ero. Lo so. Spossessarmi del pensiero non sarà facile. Lo so. Neanche vorrei. Lo so.












martedì 7 ottobre 2008

Senza titolo 274




{la rêveure}





e mi preparo perché tanto so che quel che dovrà accadere accadrà inevitabilmente

è uno spettacolo questo impianto industriale visto di notte sembra una città sul niente una dieci cento torri di luci alte e altissime che solo a guardarle mi viene il capogiro

e mi avvicino in una strana sospensione mentre sento i muscoli dorsali irrigidirsi in attesa di quello che anche loro sanno avverrà

il fumo candido mi attrae mentre sento brividi tesi lungo la schiena mi sento seguita ma non mi volto la cadenza del passo si fa più veloce cammino nel niente un  niente bianco  neve e freddo paura che inizia a strisciarmi sotto la pelle

e mi spinge mentre già sento la forza di quelle mani che non so sulla schiena un colpo secco e vado giù mentre sospendo il respiro e conservo energia per la prossima che verrà

cado nel niente sento solo terrore niente male lampi bianchi nel buio totale  non farlo non farlo ancora e cado e poi in piedi e poi ancora mi spingi e non oppongo resistenza mi lascio cadere come se fosse un pegno da pagare

ogni volta un pegno da pagare fino al risveglio


sabato 4 ottobre 2008

Senza titolo 273





E' tempo d'avere freddo.

Non ho neanche il fastidio di dover fare il famigerato cambio dell'armadio: mi basta aprire un'anta piuttosto che un'altra et voila, la mia roba è pronta. E' uno dei lati piacevoli dell'essere [da] soli.

Apro un cassetto e una valanga di calzettoni salta fuori come il clown dalle scatole magiche; ne apro un altro e i collant mi sorridono al pensiero di stendermisi addosso.

Oggi, poi, è stato il giorno del cambio di lenzuola. Frutti rossi in abbondanza sul mio letto, a parlarmi di golosità e parole che -chissà!- forse non sentirò più.      [distrazione dolce frutto rosso selvatico]

E' stato anche il giorno del piumone. Il piumone color smart, la mia smart color ghiaccio. Ché ho patito il freddo in queste notti vuote di sonno, in cui il solo pensiero di rigirarmi in due metri di materasso mi faceva rabbrividire.

Il Monviso è spruzzato di neve. Stamattina, andando da Eataly a comprare il pesciolino, l'ho visto in tutto il suo essere splendido. Ho avuto  voglia di abbracciarlo, voglia di essere lì su e di afferrarmi a braccia nude ad  una roccia per dirle quanto la amo, quanto mi riempie lo sguardo e il cuore e i sensi ogni volta che, aprendo gli occhi, la vedo stagliarsi in quel cielo che -senza- sarebbe nulla.

E' tempo di musica tenue, di quella che fa accendere la spia dell'emergenza emozionale.

Non sono mai riuscita a nascondermi, piuttosto mi eclisso.

Questo è il momento in cui preferisco stendere all'aria sensazioni contrastanti; ammetto di essere preoccupata per me, per te - la mancanza di congiunzione non è un caso, mio malgrado-; ammetto di avere bisogno di altro che non sia io, sempre io. La B*ella dice di comprendere la mia non-reazione, ma lei è avvantaggiata dalla conoscenza di me in maniera spontanea, non veicolata da quello che vorrei far pensare ad altri né da atteggiamenti di circostanza di cui a volte faccio (ab)uso, a mio rischio e pericolo.

Tant'è.






giovedì 2 ottobre 2008

Senza titolo 272






Why can't you be just more like me,
Or me like you.
And why can't one and one
Just add up to two.
But
We can't live together
But, we can't stay apart.








Non voglio far diventare niente un punto di debolezza, niente.

In fondo detesto le mie debolezze e quando mi si presentano le combatto tanto da stremarmi.
E vinco.

Che ci siano è un fatto indubbio - che mi piaccia o meno pare che anche io sia umana - però non voglio farmi surclassare da loro.

No.

E chi mi sta intorno - ovvero le poche persone alle quali permetto di starmi vicino, e tu lo sai - sa che io sono anche questa.

E sono assolutamente libere di dirmi qualunque cosa, di osservare le mie azioni/reazioni, di ridere.

Sanno del mio ciclico chiudermi in me stessa e ritornare su all'improvviso, rimanendo ad osservarmi ma non tirandomi per i capelli.

Ché io non voglio ragni fra i tacchi e nidi di colibrì fra le ciglia.

Pioggia sì, e foglie di mangrovia per coprirmi. Ma mai statica, mai areattiva.

Ferma, magari, ma in agguato: di me stessa.

Come una gatta che punta un suricillo.


Ecco.