giovedì 29 novembre 2007

Senza titolo 133




Alla fine poi sbaglio sempre.

Evidentemente è così. Sbaglio io. Sempre.

Se sto zitta, se parlo, se rido, se non faccio niente. In ogni caso riesco a fare qualcosa che non piace, che da noia.

E generalmente me ne strafotterei, ma non con alcune persone.

E certo, evidentemente ne ho urtato la suscettibilità, e ho chiesto perdono. Senza fatica. E so che in qualche modo, prima o poi, tutto andrà a posto. Ma i frammenti, i frammenti quando mai si riprendono?
Quelli si perdono.

E quindi sbaglio e perdo. Ma perdo anche quando non sbaglio. Perdo e basta.

E non mi interessa sorridere né essere di buon umore o pensare che domani andrà meglio.

Sono sottotono, è vero. Lo si percepisce perché non faccio assolutamente niente per nasconderlo, non me ne frega niente di dimostrare allegria o di sputtanare qui i fatti miei.
Qui ci scrivo quel che voglio, è mio. E se domani non vorrò più leggere quello che ho scritto in passato semplicemente lo cancello. Anche se poi non ho mai cancellato niente proprio perché voglio vederli qui tutti i passi del mio malessere.

E se leggendomi sottotono qualcuno gioirà, sappia anche che me ne sbatto. Proprio me ne strafotto. Non mi rappresentate niente, siete il peggio che io abbia conosciuto anche se magari non vi ho mai conosciuto. Vi ignoro. Non esistete. Andate a farvi fottere, se vi va.

Io posso contare solo su me stessa, e ci faccio affidamento. Sono critica - fin troppo - nei miei confronti ma so di avere un gran pregio, e raro: sono limpida.
La convenienza la cerco al supermercato, non nelle persone.
Se avete voglia di qualcuno che sia incline al sorriso, che faccia buon viso a cattivo gioco, be' sappiate che non sono io quella adatta.

Faccio quel che sento, piaccia o non piaccia. Non ho voglia di sorrisi compassionevoli né di parole di conforto. Non ne ho bisogno. Non cerco di stare meglio né peggio: cerco di essere me stessa, sempre. Mi tengo il mio malessere, il mio male inutile, il mio non avere quel che voglio, la mia insoddisfazione.
Mi tengo tutto, comprese le mie parole. Non rinuncio a niente e a nessuno. Voglio tutto e non ho niente.

Intanto leggo. Carver. What we talk about when we talk about Love.

mercoledì 28 novembre 2007

Senza titolo 132




A volte basta poco...




...per stracciarmi un sorriso anche dalle labbra serrate in espressione di stizza. Con il fastidio dipinto sul viso. Con stille di ghiaccio ad ogni parola, il fiato emesso solo in misura strettamente necessaria. In un vuoto voluto e ricercato.

A volte basta poco. Così.

*è brutto vedere la luce di casa tua spenta, è proprio brutto!

però non insisto, capisco il tuo volertene stare in disparte, ne comprendo il bisogno. La necessità dell'essere soli.

ti abbraccio forte forte, mi senti?*

Piccola sì, l'ho sentito il tuo abbraccio. E non mi sono tirata indietro. E mi hai fatto sorridere.

E' che a volte va così. Faccio il pieno di amaro in bocca, di parole sbagliate o mancanti, di comportamenti difficilmente perdonabili, di frammenti di rabbia sedata da un "chi se ne frega"; e d'un tratto il secchio si rovescia e mi cade tutto addosso, bagnandomi come un pulcino, e rimango lì intirizzita e taccio.

Taccio, perché si gelano anche le parole.

Mi proteggo col silenzio, sola, mi rivesto di me.

Ma passa e oggi è già meglio di ieri. Almeno un po'. Almeno credo.


lunedì 26 novembre 2007

Senza titolo 131




E' che non ne ho voglia. E mi sto stancando.

Di parole inutili. Che troppa gente - oggi fatico a chiamarle persone - continua a emettere verbi giusto per ascoltarsi senza sentirsi, senza un briciolo di riflessione a priori, senza conoscenza.
Senza pensare che, soprattutto quando si trattano certi argomenti, le parole sono armi. Improprie.
Affilate e taglienti.
Potrebbero vietarne l'uso per legge, o consentirlo solo previo esame d'ammissione al linguaggio.
E qui non c'entra la cultura - pur essendo questa non solo un diritto ma anche un dovere di ciascuno - ma la sensibilità e l'intelligenza.

Ma non c'è niente da fare. E io mi sto stancando.

Di lavorare sulle emergenze. Di avere sempre i colleghi o i capi col fiato sul collo a domandare e esigere risposte pertinenti e praticamente immediate. Di non aver la certezza di fare bene, come voglio io, perché c'è chi spinge con un'altra urgenza e un'altra ancora.
Perché quando dico di avere la vocazione della casalinga la gente mi guarda con espressione attonita, poi sorride col dubbio che io stia scherzando e ancora allibita mi chiede "e che ci fai a casa?"
E chi ha detto che starei a casa?
E sì, per un certo verso scherzo. Ma
Farei quello che non riesco a fare di solito, mi occuperei di me, scriverei di più, leggerei di più. Uscirei anche, che qui fra casa e lavoro mi pare di essere tornata ai tempi cupi in cui non vedevo altro e occupavo di numeri e estranei la mia mente per non pensare alle cose mie.

Mi sto stancando di chi non mantiene gli impegni. Di chi anticipa ogni discorso con il "vediamo", o "se ce la faccio". Se ce la faccio un cazzo. Se dici che fai, lo fai e basta. Come faccio io.
In caso contrario impari a dire NO, un no diretto, deciso e secco che non significa mancanza di rispetto o di affetto ma semplicemente cognizione delle proprie forze.

E sono già stanca da un pezzo di dover bastare a me stessa e a un nugolo di altre persone.
Che magari qualche volta avrei bisogno io di appoggio, non ti pare?
Non sarebbe male, qualche volta, sentire una voce chiedermi *hai bisogno di me*.
Sì, guarda caso ho bisogno ogni tanto, anche io, di qualcuno che mi chieda come sto.
E che non sia solo una forma cortese di prendermi per il culo.

Che mi sono stancata.

sabato 24 novembre 2007

Senza titolo 130





Ask the Dust                                                      Bunker Hill . Los Angeles . CA



≈ E un'altra cosa: io non capisco niente di donne. Come posso scrivere di qualcosa che non capisco? Come posso scrivere di esperienze che non ho mai fatto?≈



• Quanto ai timori sulle sue limitate esperienze nella vita in generale e con le donne in particolare va da se, purtroppo, che di norma uno scrittore abbia meno esperienza degli altri uomini.

E ciò in forza del fatto incontestabile che non si può essere in due posti contemporaneamente.

Signor Bandini, o si è davanti alla macchina da scrivere o si è nel mondo a fare esperienza.

Pertanto, poiché vuole scrivere e vuole fare esperienza di cui  scrivere, deve imparare a fare molto con poco.

E fare molto con poco è - in breve - il mestiere  dello scrittore •


Questo è John Fante. Chiedi alla Polvere.

Ma, soprattutto, questo è per te.

Una frustata, sentendo queste parole. Perché è vero che quello è il mestiere dello scrittore.
Ne ho conosciuti, di scrittori.
E non cambia se questi vivono a Milano o  a Bologna o chissà dove, se hanno fatto il DAMS o lo scientifico, se scrivono di stazioni o di sesso o di violenza o amore.

Fanno molto con poco.


venerdì 23 novembre 2007

Senza titolo 129




Tu, che sai esattamente quel che penso. Di te.
Tu, che sai esattamente quel che desidero. Con te.
Tu, che sai esattamente cosa non avrò. Da te.

C'è che io non so esattamente niente.

Oscillante, mi porto avanti e mi ritraggo. Mi risveglio affascinata e mi addormento affranta, nello studio di maree impossibili da contenere.

E ancora, e ancora.





Hand in glove - The sun shines out of our behinds - No, it's NOT like any other love - This one is different - because it's us

Hand in glove - We can go wherever we please - And everything depends upon - How near you stand to me
And if the people stare - Then, the people stare - Oh, I really don't know and I really don't care

Hand in glove - The Good People laugh - Yes, we may be hidden by rags - But we've something they'll never have

Hand in glove - The sun shines out of our behinds - Yes, we may be hidden by rags - But we've something they'll never have

And if the people stare - Then the people stare - Oh, I really don't know and I really don't care

So, hand in glove I stake my claim - I'll fight to the last breath - If they dare touch a hair on your head -
I'll fight to the last breath

For the Good Life is out there somewhere - So I'll stay on your arm, 'cause you're so charming

But I know my luck too well - Yes, I know my luck too well - And I'll probably never see you again - I'll probably never see you again - Oh...



[The Smiths - Hand in Glove]





giovedì 22 novembre 2007

Senza titolo 128




Ora sì che l'inverno sembra arrivato.

Piove da tre giorni. Sai quella pioggia piccola, fine, discreta ma incessante.
Sai quel freddo pungente che al mattino taglia l'aria che respiri, e la senti entrare aggressiva e decisa  oltre il cappotto e sotto la gonna.
Sai la neve che scende in montagna, tanta e tanto bianca, che riempie gli occhi e i sogni.
Sai la luce dei lampioni che esplode in contorni sfumati, di quel bianco diffuso che scende a trapezio verso il basso e si disperde fra le gocce d'acqua.
Sai gli alberi ormai nudi, esili corpi di legno fradicio che nient'altro aspettavano se non il freddo e la pioggia per potersi spogliare delle foglie stanche, rosse e gialle.

Questo è l'inverno.

Che mi schizza fra le gambe mentre come una bambina cammino nelle pozzanghere, con lo sguardo attento solo alla nuvoletta di vapore acqueo e con questo disperso nell'aria.
E i pensieri rarefatti che all'improvviso si divaricano e si amplificano mentre mi lascio sola con me stessa, e l'espressione segue senza rendersene conto il sorriso o lo sgomento, a volte gioioso altre attonito.


Stamattina pensavo a quanto veleno sia stato sprecato. Quanto veleno inutile. Non meritato.

Parole al vento. Sparse come quando si sbatte la tovaglia sul terrazzo e le briciole si posano sul pavimento in attesa di un uccellino che venga a prendersele.

Parole inutili, belle ma vuote. Parole buone a far cassa che non lasciano niente, se non amarezza e un sorriso di lieve disprezzo.

A volte sono io d'una lentezza esasperante prima di svelare quel che ho; ma nel momento in cui prendo atto del pensiero lo trasformo in fatti. E lo dico. In quell'istante so che quel che dico è quel che è. A prescindere da quel che c'era e da quel che ci sarà, che non so.

Ma mai dico prima di essere sicura di dire quel che sento, che penso, che voglio.
Il ragionevole dubbio è da giocare come prima carta, non a giochi già fatti.


E invece quanto veleno sprecato.
E quanta gente si incontra, inutile e sprecata.






Raramente indifferente.

martedì 20 novembre 2007

Senza titolo 127




. E mi diceva: tu ascolti musica troppo "paturniosa", e questo conta . [Peccato, sai? Hai buttato tutto]


E' che di musica io vivo, mi nutro.

Mi piace sentirla addosso, lasciarmela scorrere, cantarla sommessa con maggiore affinità per le note basse piuttosto che agli acuti, con quel tono di chi sa d'essere stonata ma canta lo stesso.
Canta anche con il microfono del pc in mode on e lui che ride, e io che rido con lui e canto comunque.

Mi piace portarla con me. Arrivare in ufficio e sentire la radiolina della collega che spara robe e mettere nel lettore del mio pc un insieme di corde e archetti a fare la differenza.
Maria and the Violin's String ripassata non so quante volte. Ma tante.

E mi piace contagiarla, la musica.

Sapere di poter trasmettere di me solo ed unicamente attraverso quel che sento.
Il bisogno ancestrale di sentire quel che era ieri domani, e domani ancora.
Raccontarla, leggerla, lasciarmela scorrere addosso, e.

Che la musica può tutto, con tutto.
Il senso, il tono, il ritmo, l'ansia d'ascolto e di ricezione, le parole. Le parole. Le immagini.
Le fotografie di un attimo, di milioni di attimi.

Io ho un angelo.
Di lui ho parlato oggi, in fase di contagio. Jeff Buckley.
Ormai il virus è inoculato.

Digressione non casuale sulla ricorrenza dell'aspetto fisico e caratteriale.
Tormentato.
Bello e Tormentato.
Un filo conduttore che passa attraverso quelli che mi entrano nel sangue. E come non dare ragione a Lombroso?
Io ri-conosco.
E guarda se non trovi anche tu un passaggio, una conduzione apparentemente flebile ma sostanziale fra Jim Morrison, Jeff Buckley, Luciano Ligabue, Lui.

Passione. Tormento. Bellezza non solo apparente. Anima. Luce.
Gli occhi pieni di mondo.
Acqua.
Una vasca. Un fiume. Un rio nel fosso. La pioggia. Dentro e Intorno.
La malattia di volere sempre altro. Sempre oltre.
Il male di non accontentarsi.
Lui. Loro. Luce.

lunedì 19 novembre 2007

Senza titolo 126




Pizzi e Merletti.
    Ricami e punto croce.
       Tombolo e uncinetto e filet.


E fiori e parole che profumano di vita, piccole amarezze che si fondono e stingono e confondono il disordine dell'Anima in sensazioni fragili e innocenti.

Vergini.

E vergine strillo muta mentre voci spingono per essere ascoltate. Malessere insoddisfatto e delusioni malcelate e veli messi a bella posta per sottintendere senza trasparenza o per fare intendere il tonfo della pietra nell'acqua senza che la mano che lancia sia visibile.
Confonditi stella, confonditi.

E rimango pura, e unica.

Io che sono quel che dico, io che dico quel che sono a chi ha occhi per sentire e mani per sfiorare e riscaldare.

Io che non mi nascondo dietro un sorriso ma nascondo un sorriso dentro me, io che non dico se non sento, io che spacco e scindo ogni parola in sillaba, e poi in lettera, e poi prima di dirla la ripasso in bocca sentendone il sapore e il retrogusto.

Io che faccio tutto questo in un solo attimo e nell'attimo stesso ti offro contemporaneamente il dolce e l'amaro, il salato e l'aspro, io che intendo sollecitarti tutte le papille gustative e non solo quelle che tu vorresti.

Io che mi offro a te nuda e senza orpelli, che arrossisco a sentirti  respirare e godo dei tuoi silenzi pieni e ti sento andar via e ritornare e capisco quando vuoi parlare o quando non hai niente da dirmi, e nello stesso modo capisco quando quel che mi dici serve solo a riempire un silenzio che non sai gestire.

Io pura, vergine e unica.

Io ti chiedo, ora e adesso e sempre, di essere per me il niente pieno piuttosto che il tutto vuoto.
Ti supplico di non fare mai niente che possa scalfire l'unicità del mio credere in te.

Tu non sei per me, io non sono per te.

Ma rimani anche tu puro, vergine e unico.


domenica 18 novembre 2007

Senza titolo 125




The Rock Parade


C'è quel biondo che mi guarda, qui davanti, e ammicca come uno stronzo.
Vuoi vedere che ci sta provando? Vuoi vedere che vince un giro? Ma sì, facciamogli fare un giro in questa giostra!

E allora mi avvicino a lui, con fare da femmina che non sa. Che le femmine non sanno mai. Sanno sempre troppo poco.

Gli offro il profilo, le labbra schiuse e occhi stretti, ci sono tante luci.  Lo sento il suo sguardo, mi scivola addosso, si sofferma sulla bocca.. Sui dentini imperfetti. Mordo appena il labbro inferiore con gli incisivi, trattengo il sorriso imbarazzato, solo un briciolo di inquietudine e malizia. Un po', che non guasta.

Non faccio in tempo a prendere fiato che vedo l'ombra di un dito a seguire il mio profilo. Scivola sulla fronte e sul naso per fermarsi sulla bocca con una lieve pressione.
- Sono Robert, e tu?
Non mi volto verso lui, arrossisco l'impossibile e quando apro la bocca per dirgli il mio nome il suo dito mi scivola dentro.
- Vieni con me.
E non è interrogativo, è perentorio.

Mi porta via.

Mi prende per mano per non perdermi in mezzo a migliaia di persone, filiamo via verso l'altrove e io penso che è biondo, è l'unico biondo possibile, che dalla camicia aperta ho visto il ventre piatto con una sottile striscia di peli che vien su dai pantaloni e il petto glabro, fanciullo.

Mi ricorda qualcuno. *Pay Attention* Sirene dentro me.

Si volta, sorride, e io sono persa. Ma che voce ha! Ma quanto corre! E mi trascina mentre il mio sguardo non sa più cosa guardare, sale veloce le scale trascinandomi con deliziosa forza.
- Darl', questi sono Jimmy, John e John B.
Jimmy, mh...castano e con una Gibson Les Paul standard appesa al collo, tenuta lunga.

Mi stringe la mano per riprendermi e sì, mi perdo in quelle mani grandi e in quei capelli  e in quella voce.
- Tu vieni con me. Con me.
E mi carezza il viso mentre con un sorriso indisponente mi urla addosso.


You need coolin, baby, Im not foolin,
Im gonna send you back to schoolin,
Way down inside honey, you need it,
Im gonna give you my love,
Im gonna give you my love.

Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?

Youve been learnin, baby, I bean learnin,
All them good times, baby, baby, Ive been yearnin,
Way, way down inside honey, you need it,
Im gonna give you my love,
Im gonna give you my love.

Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?

(various mumblings and screechings with cool effects)

Youve been coolin, baby, Ive been droolin,
All the good times Ive been misusin,
Way, way down inside, Im gonna give you my love,
Im gonna give you every inch of my love,
Gonna give you my love.
Yeah! all right! lets go!

Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?
Wanna whole lotta love?

Way down inside, woman,
You need love.

Shake for me, girl
I wanna be your backdoor man.
Hey, oh, hey, oh
Oh, oh, oh
Keep a-coolin, baby,
Keep a-coolin, baby.







sabato 17 novembre 2007

Senza titolo 124




L'attesa



Attimi che si dipanano lenti, avvolgendosi silenziosi intorno a un'essenza di me stessa che con fatica si conserva calma.

Nella notte passata ad occhi aperti, al buio rotto solo da una lucina fioca che allontana i demoni dei pensieri cupi, mi sono lasciata prendere da pensieri pieni di frantumi di sogni.

Ho cercato di ricomporli, di immaginare il tono di voce, l'emozione che rompe le sillabe,  il freddo che forse ora senti, anche tu. Il mio freddo, quello che cerco di combattere rivestendolo di piccole, meravigliose illusioni.

Ho evitato le domande cestinando tutti i punti interrogativi che mi affrontavano con aria di sfida.
Quello che voglio è aver fiducia. In me, in te, in domani e anche dopo.


E come volevo sono riuscita a creare il varco tra il senso e la sensazione e a dondolare sogni e parole e sorrisi  in una miscela di zucchero fuso, fra l'amaro che stempera il dolciastro e la bellezza dell'essere me, con me, per me e per te.






Oggi è stata indetta la prima giornata del gatto nero. Non potevo non pensare a te, Shit.
Ti amo, infinitamente.






giovedì 15 novembre 2007

Senza titolo 123




Io rifletto.

Rifletto (su) me stessa, su quel che voglio, quali i miei desideri, quali le mie necessità, cosa voglio da te, cosa voglio da me, soprattutto mi chiedo cosa sia *noi*.

Un'entità astratta. Una incommensurabile bugia, una illusione prepotente, qualcosa che non riesco ancora a distinguere perché non sono più capace di vedere due anime unite oppure perché ne ho talmente paura da non riuscire a comprendere.

Non paura di avere la cognizione di *noi*, ma di perderla.

Certo, si ritorna al vecchio gioco di parole del rimorso o del rimpianto. Alla fine cosa è meglio?

E' che io sarei capace di mettere in gioco tutto, ma proprio tutto, senza conteggiare i pro e i contro perché non c'è niente che abbia più valore di *noi* e di *nostro*. E so che anche tu lo faresti.

E se ci perdiamo?

Perché il timore che ho - sempre - è quello di vedere un passo falso o una nota stonata e di non saperla decodificare. Di dare connotazione negativa e quindi apportare ad un presunto errore un'importanza sostanziale tale da farmi ritirare, oppure di non considerarla e poi cadere in una trappola illusoria.

E rifletto su te.

Proprio tu, sì. Tu e non altri, adesso. E dove sei, e cosa fai, e come lo fai, e perché e quando e mille domande che vorrei porti e non ne ho modo. Questo mi sconvolge.
E penso a quello che vuoi da me. E quello che io so darti, in potenza. E quanto io voglio darti.
Che se tu non hai limiti, io non ho limiti.

Aiutami a comprendere*comprenderti*comprendermi*comprenderci.



martedì 13 novembre 2007

Senza titolo 122





♦si vede, no?♦


Mi hanno strappato un sorriso.

Che quando si ha la febbre fa piacere stare a letto, al calduccio, fra le piume e magari con due gatti addosso.

Che mia mamma quando ero ammalata mi comprava le zigulì e mi faceva le patatine fritte e quando credeva che dormissi mi baciava la fronte per controllare la temperatura e continuava a riempirmi di baci e io facevo finta di dormire, ancora, per lasciarla fare. Poi mi stiracchiavo un po' e lei smetteva di farmi coccole, che come diceva lei *la mia figliola ha il sangue delle pulci* per intendere che non avevo sangue e non ero affettuosa. Con lei, diceva.

Va be', per fortuna non mi ammalo quasi mai e l'ultima volta che è capitato la mamy è venuta in trasferta qui da me, che l'ex uomodicasa non capiva cosa significasse avere 41 di febbre e non sapere come né dove vomitare. E neanche cosa, visto che ero digiuna. Ma, appunto, va be'.

Stamattina, quindi, per consolarmi e per farmi stare comoda mi hanno consegnato dei mobili in comodato d'uso, visto che quelli che ho scelto e comprato sono arrivati rotti o sbagliati. A parte l'armadio, che infatti è già lì. Il resto arriverà, spero, prima della fine d'anno.

E dunque mi hanno portato...una rete di ferro.
Che secondo me in galera hanno le doghe. Io ho una rete di ferro, sulla quale hanno appoggiato il mio materasso. Poi un comodino color noce. Cioè marrone. Che mi fa schifo, a me, il marrone. E, dulcis in fundo, un cassettone con la struttura rovere e i cassetti color sabbia.

Figata, eh!

Ora, prendo atto che volevano farmi tornare il buon umore e quindi tutto questo l'hanno fatto per me.
Che appena entro in camera da letto, sai che risate?

Così per consolarmi sono andata in farmacia e mi sono comprata le caramelline.

E poi, visto che ero fuori, anche American Beauty e Chiedi alla Polvere. Di John Fante, certo.


lunedì 12 novembre 2007

Senza titolo 121




Ci sono fatti che mi fanno vacillare.
Comportamenti che non riesco a comprendere sebbene ci provi, a farlo.

Parole date da persone per le quali non nutro stima e che ancora mi fanno vivere una situazione di disagio che - sebbene marginale - è ora importante perché riesce a far tracimare gli argini che innalzo a mia difesa.
Che sì, ho bisogno di difese.
Parole dette da persone per le quali ho affetto e nelle quali credo, ma che a volte si manifestano in misura eccessiva rispetto a quello che evidentemente è il significato che queste persone attribuiscono ai termini.
Significato evidentemente diverso da quello che do io alle parole stesse.

Constatare una differenza così palese fra il mio sentire e il sentire d'altri mi fa camminare sul filo, sull'orlo di un burrone. E scegliere se fare un volo nel vuoto o posarmi contro la roccia fredda non è semplice.

E io mi ritraggo. Implodo.
Mi conservo per me stessa perché so di potermi trattare con i guanti.
Tengo per me il guinzaglio e il collare a strozzo.
In queste mani che sono pronte ad accarezzare e a tergere lacrime e mai a puntare il dito.
Basta parole di stima, basta manifestazioni di affetto. Basta con tutto ciò che può darmi l'illusione di non vivere più in un mondo altro.

Io credo che non vi sia una reale intenzione di ferirmi ma che inevitabilmente questo accada per un unico motivo: io mi fido.
Non dubito, credo nella forza delle parole, credo ad un sorriso, credo ad un bacio, credo ad una promessa.
Credo, fino a prova contraria.
Proseguo nel mio giro in questa vita senza mettere le mani avanti, senza tutele e senza preconcetti.
Ma.
Ma se mi si porta a dubitare, se mi rendo conto che le parole che mi si offrono sono solo sterili semini sparsi al vento, se socchiudo gli occhi per ripensare a quel che so e che stride con i fatti.
Se.
Io, riprendo la mia campana. E vi permetto di guardarmi come una belva nel serraglio.
E vi guardo, come se foste *altro*.


sabato 10 novembre 2007

Senza titolo 120





Quando mi sento strana ripenso sempre ad American Beauty.

Ci ripenso - e vorrei rivederlo subito ma non trovo il dvd - perché racconta la storia.

L'insoddisfazione e la rabbia, il rifiuto di una vita stereotipata e di una felicità di facciata. E dentro il diluvio.

Prendere decisioni. Sempre.

Anche quando fanno male, fanno tristezza, fanno vuoto.

Ho preso molte decisioni importanti, per me e non solo.
Ho deciso di vivere da sola, ma di vivere. Di smettere di fare la signora F. e riprendermi il mio essere ragazza, magari un po'  fuori tempo però ragazza senza un anello al dito.
Ho scelto di andare contro la convenzione che vede ormai "fatta" una donna di quarant'anni e di continuare a sentire a modo mio il mio essere donna. Vestendo a modo mio, viaggiando a modo mio, innamorandomi a modo mio. Soprattutto.
Ho scelto di lasciare fare alla tristezza, ieri e oggi; l'ho lasciata libera di decidere per me, di portarmi giù in fondo a sentire quello che in genere evito di ascoltare.
Ho scelto di sentirmi sola e di riguardare me stessa allo specchio con un atteggiamento inquisitorio, mi sono indagata e assolta con un sorriso.
Ho scelto per mia mamma, per mia sorella, ho scelto di fare mie certe responsabilità che loro di tanto in tanto scelgono di attribuirmi.

Ho scelto, soprattutto, di rispettarmi.
E per farlo mi è necessaria la chiarezza, verso me stessa e verso coloro per i quali sento affetto.



Ieri notte è riapparso dal niente un mio amico. Non lo sentivo da quasi due anni, è sparito all'improvviso senza mai darmi spiegazioni. Ho avuto anche delle cattive sensazioni, in questo tempo.
E poi ieri, quando mi sentivo uno straccio, d'improvviso eccolo di nuovo. Con lui ho condiviso Robert Mapplethorpe e Palazzo Madama, le Olimpiadi e la foto con la Fiamma Olimpica tenuta a due mani,  il kebab di una notte in cui Torino era deserta, le fotografie di notte ai Murazzi, passi su passi in via Po e centro storico. Oh, anche il concerto di Lou Reed in Piazza San Carlo.
Quante cose.
Ora che è tornato io sono contenta. Ha cambiato la sua vita, si è fidanzato e ha grandi progetti e piccole paure e la cosa bella è che ha voluto condividere tutto questo con me.
Sono contenta davvero, e non sparire più.




Chiarezza. Cristallina, per piacere. Non chiedo altro.

venerdì 9 novembre 2007

Senza titolo 119





Non ho parole. Non ho parole.


Non ho parole che siano pronunciabili nei confronti di quel che è successo oggi.


MA SONO FURENTE


Sono incazzata come una serpe.
Che forse va anche bene che oggi io sia da sola, ma anche no. Perché forse sarebbe meglio che io avessi qualcuno con cui parlare o con cui tacere, qualcuno per non pensare. Per pensare solo a *qualcuno* piuttosto che a qualcosa.

Perché passerei delle ore a parlare e a tacere e a chiedere perché e perché e ancora ad arrabbiarmi e a farmi calmare e ricominciare.

Cosa è meglio? Non lo so.

Ma non c'è problema, non mi si pone la scelta.
Sai cosa? Mi sono stancata anche di non avere scelta.
O di non volere scegliere. O che ne so.

Sono intrattabile. E allora vorrei proprio che *qualcuno* mi dicesse che sì, sono intrattabile. E che me lo dicesse mentre tratta con me, di me.
Sono inamabile - unloveable, che in inglese suona meglio - e vorrei proprio che *qualcuno* mi dicesse che è vero, sono unloveable mentre ama me, e mi ama.

Sono stanca, mi spiego?
Stracca, ecco. Ma proprio a pezzi.
E scazzata. Ho tutto. Ho niente.

E vorrei solo dormire. Una marea di ore. Tante, troppe ore addormentata.
E  questo non mi piace perché è un desiderio che difficilmente fa parte di me e quando lo sento significa che ci sono equilibri particolarmente instabili.

Voglio un filo da seguire, da avvolgere in gomitolo stretto, a cui sorreggermi in equilibrio precario, con cui legarmi e fare dei fiocchi da sciogliere per ritrovare il punto.

Per ritrovare me stessa, 'ché oggi vorrei perdermi.



giovedì 8 novembre 2007

Senza titolo 118





toh, lo zuccherino è anche per te



MA QUESTO BACIAPILE DI MICHELE SANTORO!

Insomma, ho la tv  accesa perché sono scazzata.

Poi sono anche contenta per altro - che dirò - ma non ho voglia di niente e quindi mi circondo di niente, ovvero di televisione. Di s-programmi.

Ebbene, tutta la parata di guzzanti e gruber e ospiti vari di cui proprio non ricordo il nome, peccato! e d'un tratto mi spunta dal video ersilio tonini.

Dico proprio lui, sì: il miglior politico della stato nello stato, il vaticano.

Quello al quale si è sarcasticamente rivolta la Littizzetto per qualunque suo dilemma esistenziale: il colore delle tende, il diario più giusto in terza elementare; quello che non ha mai smesso di intromettersi nella vita del popolo italiano cattolico e non, e anche in quella degli aconfessionali.  ersilio tonini.

E va be'.

Ma santoro, LUI! Che prima di presentarlo ha specificato quanto fosse amico suo, il cardinale (e non parlo di quel bellissimo uccello dal piumaggio rosso, no).

E poi, quando il cardinale ha chiesto ancora la parola dopo essere stato licenziato con un applauso (!!!) ecco che santoro dice: ma cerrrrrrto, è un regalo per noi!


ERRATA CORRIGE. La Littizzetto si rivolgeva a Ruini e non a Tonini. Pare sia stata la tv ad avermi confusa.


E comunque... 





 




 





Sono arrivati i miei mobili, questa è la notizia.

Dopo due mesi dall'ordine e con sole due settimane di ritardo, da me passate a fare l'accampata in casa, domani finalmente mi consegneranno e monteranno la camera da letto e il divano (B*ella, sappilo).

Questa è la notizia.



 




 





Ma io domani avrei voluto essere a Milano.
Per almeno due buoni motivi.

Ma tant'è.

David, aspettami: io sarò tua.




 




 






 

mercoledì 7 novembre 2007

Senza titolo 117






E io ogni tanto vado in giro.

Camminando a due spanne da terra, con il naso per aria e lo sguardo che fila affianco  ai miei pensieri piuttosto che ai passi, a inseguire quel profumo di qualcosa che c'è - e c'è perchè lo sento - offrendo l'impressione d'essere distratta ma no, non lo sono.

Distratta è un termine che non fa per me.

Non lo sono mai, al limite dico di esserlo se voglio addurre inutile giustificazione a chi mi angoscia con domande insulse. Allora *non lo so*. Non c'ero, e se c'ero dormivo.

Ma.

In uno dei miei viaggi alati fra l'etere e l'etereo ho incontrato un posto. No, ho incontrato parole.
Che poi si sono rivelate persona.
E mi hanno incantata.
L'incanto indotto da parole d'ella e di loro, i Marlene Kuntz.
E le sue parole così affini e adatte ad essere suonate in quella musica che mi han lasciato una diffusa sensazione di leggerezza, pesante leggerezza.

Parlo di  concretezza, che potete trovare qui: concretamente .splinder.com

Ma.

Mi ha colpito in particolare il suo ultimo post, e ancor più il file musicale allegato.
Ora stupore: si tratta di una canzone in sardo.
Non una canzone qualunque.

Questa


Non potho reposare amore e coro                                                   Non posso riposare, amore e cuore,
pensende a tie soe donzi momentu.                                                sto pensando a te ogni momento.
No istes in tristura prenda e oro                                                      Non essere triste gioiello d'oro,
né in dispiacere o pessamentu.                                                      né in dispiacere o in pensiero.
T'assicuro ch'a tie solu bramo,                                                        Ti assicuro che bramo solo te,
ca t'amo forte t'amo, t'amo, t'amo.                                                    che t'amo forte t'amo, t'amo, t'amo.

Amore meu prenda de istimare                                                        Amore mio, gioiello da stimare,
s'affettu meu a tie solu est dau;                                                        il mio affetto a te solo e' dato;
s'are iuttu sas alas a bolare,                                                            se avessi avuto le ali per volare,
milli bortas a s'ora ippo bolau;                                                         mille volte all'ora avrei volato;
pro benner nessi pro ti saludare,                                                     per venire almeno a salutarti,
s'attera cosa non a t'abbissare.                                                       o solamente per vederti.

Si m'esseret possibile d'anghelu                                                     Se mi fosse possibile d'angelo
d'ispiritu invisibile piccabo                                                              di spirito invisibile prenderei
sas formas; che furabo dae chelu                                                    le forme; ruberei dal cielo
su sole e sos isteddos e formabo                                                    il sole e le stelle e formerei
unu mundu bellissimu pro tene,                                                       un mondo bellissimo per te,
pro poder dispensare cada bene.                                                    
per poter dispensare ogni bene.



Una canzone dei primi del '900 di una tenerezza disarmante.

Disarmante.

lunedì 5 novembre 2007

Senza titolo 116




•Ma in tutta  quella smania c'era un'insoddisfazione più profonda,
una mancanza,
in quel cercare gente che l'ascoltasse c'era una ricerca diversa.
Non conosceva ancora l'amore,
e ogni esperienza, senza quella, che è?
Che vale aver rischiato la vita,
quando ancora della vita non conosci il sapore?•



Sto leggendo Italo Calvino, Il Barone Rampante.

Prima lettura scolastica, così inadatta ad un popolo fanciullo e senza esperienza.  Che quando mai si può dire libro d'infanzia, questo.

Cambia la percezione, l'intuizione del particolare. L'accettazione del racconto.

Rileggerlo ora, a mente fanciullescamente adulta, è altra soddisfazione.

Percezione. Intuizione.

Tutto è così diverso quando si ha consapevolezza. Dei propri bisogni, ad esempio. Dell'accettazione degli stessi e delle proprie debolezze.

Una donna fragile. Tanto fragile da essere infrangibile. O quasi.

Questo direi ora di me.

Che vale aver rischiato la vita quando ancora della vita non conosci il sapore?

Ogni singolo frammento di vita ha un sapore particolare, indimenticabile.

Vivere e amare se stessi, prima di tutto. Prendersi in mano e cercare, cercare sempre. Scavare, ferirsi, impuntarsi, soddisfarsi mentre già dentro cresce altro senso di insoddisfazione, di fame e di sete.

Vivere e amare qualcuno. Non tutti. Io non amo tutti. Io non sono per tutti.
Sono selettiva fino al punto d'apparire anche un po' snob.

E scusate se me ne strafotto.

Vivere, e amare qualcuno. E non qualcuno a caso.
Non amare fine a se stesso, perché non ne ho bisogno. Ho da amare me stessa, a tempo perso. E con piacere.

Vivere e amare qualcuno che sia così sottilmente affine, malgrado le apparenze, da non poterne far  senza. Averne la sensazione dolorante della presenza in ogni fibra. Vivere e sentirne le dinamiche essenziali e quelle superflue, scavare a mani nude la roccia dell'esteriorità per andare oltre, e oltre. 
Avvertirne le parole silenziose, ripetere in un sussurro quelle urlate.
Percepirne la rabbia.
L'essenza. L'esistenza.

*se* questo è Amore, io amo.


domenica 4 novembre 2007

Senza titolo 115








Chissà com'è passare una domenica con te.

Tu ed io da soli. Insieme.

Domenica l'aria fuori è sempre più fresca, c'è il silenzio di chi ne approfitta per dormire. Io no.

Io mi sveglio.

Distintamente sento fuori le parole d'altri che echeggiano nel silenzio, un saluto cortese scambiato da estranei.

Vedo la luce del mattino, vedo te affianco. Dormi, tu.

Fuori dalle coperte sento freddo ma devo alzarmi. Vado in bagno, pipì acqua e dentini freschi.

Mi guardo intorno in quel silenzio e ho voglia di sentirti, mi piacerebbe che tu mi viziassi. Ma dormi.

Torno a letto. Lentamente mi siedo  cercando di non svegliarti. Piano tiro su le coperte, senza perderti di vista.

Ho voglia di toccarti, di seguire il tuo profilo. Lo faccio con lo sguardo.

Chiudo gli occhi e ti immagino.

Li riapro e ci sei.

Chiudo gli occhi e mi addormento, con te.

Che ci sei. Sei qui.

sabato 3 novembre 2007

Senza titolo 114





Sai, ho il sorriso sulle labbra.

Un riverbero del sorriso che ho dentro, il riflesso di questa giornata tranquilla che mi distende i tratti e le labbra, che rischiara gli occhi verdi e ne illumina lo sguardo.

Sono pensierosa.

Al solito un po' confusa, un po' insoddisfatta. Un po' malinconica.

La miscela di me.

Mi piacerebbe, questa notte, andare a passeggiare per le strade del centro. Da sola, sai? Guardare in alto, che tanto sto sempre con il naso all'insù, osservare le persone che mi passano affianco, sentire il rumore dei locali e le luci, le luci della mia città.

E poi incontrarti per caso.

Sbatterti scontro mentre il mio sguardo è perso altrove e i miei pensieri sono rivolti a te.

Non conoscerti, sai? Ma riconoscerti *sentendoti*.

Questo mi piace. Molto.

giovedì 1 novembre 2007

Senza titolo 113




Leggera la mano passa sul plesso solare.
Unica attrice, principale protagonista di questo teatro vuoto di genti e pieno di emozioni.

Lieve e lenta spezza i silenzi in umidi sospiri che sanno di pioggia, di terra bagnata, di bagni di baci.

Il sapore del sonno andato a male, un sorriso da regalarsi, oggi.



Oggi, che è un giorno diverso.



Un giorno di sogni che non si spezzano e non si sciolgono e non si risolvono, che rimangono sogni a prescindere dalla volontà e dalla necessità. Un giorno di bisogno e desiderio, di impellenza da soddisfare senza remore né rimpianti, di quelli che non sai quando abbiano avuto inizio né se avranno una fine.

Un giorno senza, un giorno con. Sensazioni contrastanti vagamente ipnotiche, camminando immersa in una luce attonita con la sensazione di non essere *da sola*. E mai veramente sola. Mai.

Uno di quelli in cui mi tengono compagnia le note mentre ne cerco di nuove sapendo di non trovarle oggi, che è un giorno in cui l'umanità è divisa fra dovere e dovere fare.

Uno e uno ancora, in cui non mi lascio in pace. Mi diletto, mi diverto, mi strazio. Mi allontano e mi avvicino, mi illudo e mi piaccio, mi soddisfo e mi riprendo.




Un giorno fragile e lento in cui vorrei essere altrove, in quel nonsodove che mi riempie i sogni e i bisogni.

Ma.

Vorrei essere qui, con me e queste mani, e vorrei averti qui, con me e queste mani.