Ti risvegli la mattina e ti senti cambiata. Ma proprio tutte le mattine c’è una parte di te modificata. Fai addirittura fatica tu stessa ad adattarti a queste variazioni improvvise, quindi capisci il resto dell’umanità che con te tratta. Non ti sei mai sforzata di adeguarti e conformarti agli Altrui Voleri e il risultato è che spesso rimani l’unica a capirti e qualche volta ti senti sola.
Sola: in realtà ti sollazzi in questa solitudine interiore, da non condividere quasi con nessuno perché vuoi che sia una parte solo tua e vuoi avere la libertà di condividerla con pochissimi “eletti”; hai un particolare metro di valutazione di questi e l’elemento fondamentale è che devono essere fisicamente lontani. C’è quello che è dall’altra parte del mare (il mare…) e per telefono dice di amarti e desiderarti tanto e in sostanza finisce sempre in borderline e comunque ha paura e hai paura e non sapete che farne di tutto questo amore telefonico che non vuole concretizzarsi, perché sapete entrambi che potenzialmente sarebbe la fine del sogno e giocate a farvi del male contenti di farlo. Come fare l’amore al buio con la speranza che prima o poi la luce si accenda, che arrivi la scintilla che porti alla soluzione del mistero. Sempre la solitudine, che vi piace conservare.
Ancora sola: anche l’altro che sta oltremare (ancora il mare…) e ti colma di attenzioni senza accorgersene; racconta pillole di vita vissuta e ti riempie di sè e di altri dandoti gioia parlandoti di morte. Unico e insostituibile, tramite essenziale tra te e il tuo mondo. Parla parole che hanno la qualità di farsi ascoltare da te che, naturalmente distratta e annoiata, tendi a parlare di te stessa (molto più interessante di ciò che ti circonda, isn’t it?).
Presunzione, dote di pochi. Tutti giocano a sminuire la loro propria importanza, a rendersi insignificanti per via di quel falso preconcetto secondo cui non sta bene dare a se stessi troppa considerazione. E cosa potresti mai imparare da un gioco simile? A ucciderti con le tue mani senza neanche goderne? No, non previsto, non catalogato, non facente parte delle tue attitudini.
E’ stata una fatalità se sei nata in tempo per vivere anni duri: fai parte della schiera delle bimbe “capitate per caso” ma ai tempi di tua madre - la Signora Oioi – non si poteva fare altro che prendersi l’imprevisto e tenerselo anche bene, questo dono di dio! Presente alla fine degli anni settanta, quando i proiettili non erano soltanto di carta stampata ma proprio di piombo. Roma in quegli anni era bellissima: la scuola era l’anima di tutto e venire contattati da persone “attive” che avevano la speranza di cambiare lo stato delle cose era la normalità (“combatti lo stato, come si faccia non ti deve preoccupare fallo e non stare a guardare”). A scuola c’era anche quella ragazza che per il tuo compleanno ti aveva regalato un pacchettino di stagnola con dentro un bel mezz’etto di fumo; per le cartine ti eri arrangiata da sola, la mattina dopo due litri di latte e Rizla azzurre. Divertita dallo sgomento dimostrato dal venditore, in realtà non riuscivi neanche a pronunciare correttamente il nome delle cartine (quelle due consonanti unite e la tua erre arrotolata avevano il tacito accordo di sviarti dall’incauto acquisto) e in più non sapevi rollare. Ma il più era fatto.
E capitava di avere come vicino di casa un magistrato impegnato nelle indagini sulle storie che alla fine dei settanta incendiavano Roma. Sotto la sua abitazione c’erano sempre i vigilantes, in presunto incognito ma riconoscibilissimi. Credevano che dei pischelli non avessero quel sesto senso che facesse loro riconoscere l’odore di poliziotto. Vi sedevate con grazia sulla soglia del portone dell’illustre magistrato a farvi canne e loro non potevano reagire e distrarsi dal loro compito di sorveglianza, neanche quando tiravate monetine sulla macchina (venduti allo stato!), neanche quando sotto i loro occhi si consumava il delitto di farsi una canna (“maledetti drogati, spero moriate di overdose!” Ma overdose di che? Di olio di nero o di marocchino? Ma non lo sapete che canna=eroina è un’invenzione dei giornali?).
Comunque ti divertivi proprio. Come quando sei scappata da casa. Una bella presa di posizione. Una notte, andando a letto con lo scazzo micidiale e la voglia di mandare il mondo a farsi fottere hai deciso di farlo. Hai messo addosso strati di magliette e altro, una borsa conteneva il resto della tua vita e il necessario per la sopravvivenza: dischi (ma quelli veri, i 33 giri in vinile nero e stupendo da tenere con cura), qualche libro insieme a mutande e reggiseno. Avevi proprio tutto; peccato che il sogno sia durato poco. Apparizione in Piazza Navona (la mitica piazza in cui trovavi tutto ciò di cui avevi bisogno e in cui ti riconoscevi e quanto ne girava, quanto!) dalla Signora Oioi in pantofole, accompagnata subito a casa e punita con reclusione a tempo indeterminato. Ti rimaneva solo il cane, da portare a fare lunghe passeggiate al parco durante le quali incontravi gli amici del tuo giro. Anni caldi e dolci e fragili, quelli.
Hanno tentato di farti un check al cervello quando si sono accorti che pensavi “diverso” dal loro metro. Hai visto tanti del tuo giro adattarsi a fare una vita giusta per gli altri solo per poter vivere senza sbattersi troppo. Ho visto te stessa fare la stessa cosa. Ridi pure. Eri piccina quando ti ho visto incontrare l’uomo più bello del mondo, quello che faceva (s)venire tutte le femmine al suo cospetto. Timore, orgoglio e infine disgusto. Ha portato più corna lui che un paiolo di lumache, hai sopportato lettere piene di insulti e gemiti e lamenti e comunque alla fine lo hai mandato per la sua strada. E hai aperto la stanza dei rancori.
Sai di aver perso tempo e di averne ancora una quantità limitata. Forse questa fretta che ti segue ovunque, questo sentire il tempo che ti scorre tra le dita senza permetterti di fermarti un attimo a riflettere ha proprio questa motivazione: credi di non riuscire a far tutto quello che vorresti in questo tempo che ti rimane e gli anni ti attraversano senza ferirti. Tu però ogni giorno ti senti strappata e ad ogni storia regali un pezzo di te e a volte ti senti uno straccio.
Mi ricordo dei giorni in cui avevi il cuore a brandelli e poca voglia di raccoglierne i pezzi. Nessuna reazione, il mare ti trascinava al largo. Una culla d’acqua, un gioco in cui tu eri il giocattolo di cui il giocatore si era ormai stancato. Un sospiro una domanda nessuna risposta, rotto finito chiuso digerito eliminato. Hai sognato – sogno guidato – di camminare nel mare finché l’acqua ti ha sommersa. “Guardati intorno – ti ha detto – cerca qualcosa di interessante”. Una stella marina rosso fuoco; l’hai presa e hai osservato il suo movimento nella mano, viva. “Puoi portare con te fuori dall’acqua ciò che vuoi”. Hai camminato verso la riva, l’acqua ti copriva mentre camminavi sul fondo stranamente illuminato, con la tua stella fra le mani. Poi un pensiero: fuori dall’acqua lei muore. L’hai lasciata nel suo elemento e hai guardato la tua mano vuota, ma con impresso il disegno della stella. Traccia.
Così hai capito che la solitudine è una scelta. Piena di vita, giochi e ti diverti brillante e livida. E’ entrata in te come un seme portato dal vento e piano è cresciuta, dolce. Non hai retto all’emozione quando hai sentito amore nei tuoi confronti. Parole che ti spingevano dentro come impazzite e che impaziente hai restituito. Ma neanche questa è pace. Ancora impaziente bruci il tempo veloce. Niente lieto fine, solo fine per adesso.
Forse ti sentirai perdutamente sola, ma avrai la netta sensazione di essere colma di amore. E il mare, che per troppo tempo ti ha allontanata fisicamente da ciò che fortemente volevi, mare amato e detestato che ti agitava se calmo e ti faceva incupire se agitato, quel mare adesso ha la sua stella.